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I vulcani

Sulla Terra vi sono più di 800 vulcani attivi. La maggior parte si trova lungo linee poste al margine delle zolle crostali in avvicinamento. Nell’area indonesiana per esempio, vi sono più di 100 vulcani attivi.

È molto spaventoso rendersi conto di non riuscire a sapere dove e quando avverrà la prossima eruzione. A ciò, è da aggiungere il fatto che i vulcani sono in grado di far scomparire nel giro di pochi minuti intere comunità ed ecosistemi, interrompere viaggi ed eventi mondiali, e di ricordarci delle violente forze che giacciono sotto i nostri piedi. Sulla Terra i vulcani non sono l’eccezione, bensì la norma. Sin dall’antichità questi mostri erano considerati come le porte degli inferi, nel Medioevo molti pensavano ai vulcani, con le loro sommità fiammeggianti e i boati spaventosi, come le case dei peccatori sofferenti. Oggi, grazie agli studi, è cresciuta anche la comprensione delle forze all’origine dei vulcani, che li fanno talvolta esplodere con tremende esplosioni, rigurgitare fontane di lava, emettere micidiali lahar (colate di fango e detriti), proiettare enormi quantità di ceneri nella stratosfera e generare enormi miscele di gas e cenere, o flussi piroclastici. La superficie terrestre e qualunque cosa vi sia sopra è solo una sottilissima parte del nostro pianeta. Al suo centro si trova un nucleo metallico, una sfera  di ferro e nichel più calda della superficie solare. Intorno al nucleo si trova invece un’enorme massa liquida (nucleo esterno), sovrastato da un mare di roccia fusa o magma, il mantello inferiore e superiore. Tutto è racchiuso dalla sottile crosta rigida della Terra, che include i fondali marini e i continenti. All’interno del mantello pennacchi di caldissima roccia fusa salgono verso la superficie cercando i punti più deboli della crosta, si raffreddano e affondano fratturando la roccia sotto la crosta formando tante tessere di un puzzle. Queste placche tettoniche possono essere larghe anche migliaia di chilometri ma sono relativamente sottili- 70 km o meno-. Le placche si spostano continuamente di pochi centimetri l’anno. Ai loro margini, sfregano una contro l’altra, collidono e si separano, generando i terremoti e le eruzioni vulcaniche. I vulcani non sono distribuiti casualmente sulla superficie terrestre, si concentrano in precisi punti come sugli hot spot (punti caldi) o soprattutto ai margini delle placche tettoniche. Quando due placche collidono, alcuni pezzi giganteschi di crosta, possono anche essere spinte verso il basso, e l’intenso calore le liquefa. Il magma fuso tende a risalire attraverso le lastre e la crosta soprastanti, facendo sorgere nei pressi dei punti di collisione delle placche tettoniche, una catena di vulcani come quella delle Ande o della Cascade Range del Pacifico nord occidentale dove è presente anche il St. Helens. Questi restano potenzialmente attivi ed esplosivi. Ma le placche non si scontrano solamente, si possono anche allontanare, e in quel caso si crea un’altra classe di vulcani, che rappresentano le dorsali oceaniche, le catene montuose sottomarine di quasi una centinaia di migliaia di chilometri che “chiudono la Terra” come una gigantesca cintura lampo. Qui, dove le placche divergono, il magma erompe creando un fondale marino ricco di crinali rocciosi, ripidi dirupi ed immense valli sottomarine come la Dorsale Medio Atlantica che irrompe in superficie con l’attività dei vulcani islandesi e delle Azzorre.

 

Un generico vulcano è formato da:

  • Una camera magmatica, ovvero il serbatoio nel quale è presente il magma che alimenta l'eruzione

  • Un camino o condotto principale, luogo di transito del magma dalla camera magmatica alla superficie

  • Uno o più crateri principali, posti sulla sommità, e dai quali sgorga la lava

  • Uno o più crateri secondari, con condotti laterali che danno vita a dei coni secondari o avventizi

 

I vulcani variano enormemente in forma, dimensione e potenzialità, per non dire nel “comportamento”. In genere la forma di un vulcano è determinata dal tipo e dalle dimensioni delle sue eruzioni, che sono dipendenti dalla composizione chimica del magma sottostante.

 

Vi sono vari tipi di vulcano.

  • Vulcani a scudo. Sono così chiamati i vulcani formati a seguito di eruzioni effusive con colate di lava molto fluida: questi hanno alla base, una forma allargata e i fianchi molto inclinati, che richiama appunto la forma di uno scudo. Presentano un cratere principale al centro e tanti piccoli coni sui fianchi, proprio come gli scudi degli antichi guerrieri. Il Kilauea e il Mauna Loa nelle Hawaii, sono un classico esempio di vulcano a scudo.

  • Strato–vulcani. Un vulcano formatosi dalla sovrapposizione del materiale emesso sia a seguito di attivitàesplosive che effusive viene chiamato, strato-vulcano o vulcano composito. In questo caso i fianchi sono molto ripidi. Le dimensioni sono rilevanti, ma inferiori rispetto a quelle di un vulcano a scudo. In Italia gli esempi classici sono l’Etna e il Vesuvio, ma lo strato-vulcano maggiore al mondo è il Fujiyama nel Giappone, con un’altezza di 3700 metri. Anche in questo caso, gli strato-vulcani sono costituiti da un cratere principale in sommità, e possono avere coni avventizi lungo i fianchi (come appunto, l’Etna).

  • I duomi di lava. Se ne corso di un’eruzione viene emessa lava viscosa a tal punto da non riuscire a scorrere, questa si accumula nei pressi della bocca eruttiva formando come una specie di tappo a forma di cupola, chiamato “duomo lavico”. Sono strutture assai fragili che per lo più crollano e collassano dopo poco tempo.

  • Le caldere. Il termine spagnolo caldera significa “pentolone”: si tratta di una depressione vulcanica circolare o semicircolare di grande diametro, che presenta pareti molto ripide. La formazione di una caldera può avvenire a seguito di più fenomeni:

      - Sprofondamento del tetto di una camera magmatica superficiale a seguito di un’abbondante fuoriuscita di magma;

      - La disintegrazione di un vulcano nel corso di una super eruzione;
      - Il collasso o lo scivolamento laterale di una parte di un fianco del vulcano.

 

 

 

PHOTO:  National Geographic

LE ARMI LETALI DI UN VULCANO

Oltre 500 milioni di persone vivono all’ombra di vulcani in attività o pronti a risvegliarsi da un momento all’altro. Per buona parte di loro, le esibizioni dei loro “vicini di casa” sono ormai ordinaria amministrazione, sebbene qualche loro performance possa sempre sorprenderli. Molta della gente che vive alle pendici di un vulcano è ignara del pericolo che corre. C’è poi chi capita nel posto sbagliato nel momento sbagliato: come si sa, i vulcani che eruttano frequentemente come quelli siciliani o hawaiani, sono i meno pericolosi e solo in rari casi  possono mietere vittime, mentre i danni alle infrastrutture sono come l’ordine dalla Terra in un’eruzione. Le colate di lava sono il loro “pezzo forte”, accompagnate dal flagello della cenere, dall’emissione di gas in alte concentrazioni e dalle inondazioni, qualora le eruzioni avvengano sotto una coltre di ghiaccio. In quel caso si forma una miscela catastrofica, molto più pericolosa della lava bollente; viene chiamata lahar cioè colata di fango o detriti. Nel 1985, in Colombia un noto vulcano, il Nevado del Ruiz eruttò, e il calore del magma fece sciogliere il ghiacciaio sulla cima, riversando il fango a valle uccidendo 25.000 persone. A differenza dei lahar, le colate di lava sono in genere molto lente

(raggiungono quasi il chilometro orario di velocità), e la colata di lava più veloce che raggiunse i 95 km/h si riversò dal Nyiragongo nel 1977 e distrusse la città di Goma. Quindi solo in casi eccezionali la lava raggiunge i 50 km/h, dipendenti dalla fluidità del magma (più silice c’è, più sono viscose quindi sono più lente) e dalla morfologia del vulcano, cioè del suo suolo (inclinazione, rugosità, avvallamenti ecc.). L’unico modo per intervenire è provare a deviarne il percorso scavando alvei o creando barriere artificiali, come si fece per l’eruzione del 1991-93 dell’Etna quando venne salvato il paese di Zafferana Etnea. O ancora gli abitanti di Heimaey, Islanda nel 1973 provarono a fermare la lava irrorandola con acqua fredda, ma il loro successo fu solo gentile concessione del vulcano, perché se non avesse deciso di quietarsi e il flusso fosse stato impetuoso e abbondante, non ci sarebbe stato nulla da fare. Quando vaporizzata, l’acqua diventa un ottimo trituratore del magma che si può trasformare in cenere così fine come il borotalco. E le sue micro particelle, strofinandosi reciprocamente, liberano cariche elettriche che si trasformano in scariche che assumono forme disparate. I dolori arrivano quando la saetta colpisce il suolo e qualche malcapitato si trova nei dintorni: un evento tutt’altro che raro. Il consiglio è quindi, quello di evitare di stare all’aria aperta durante la fase eruttiva di massima intensità, quando l’aria è satura di cenere. Ma il più grande flagello delle eruzioni vulcaniche è il fenomeno dei flussi piroclastici (detti in termine scientifico), noti come colate piroclastiche. Qualsiasi cosa loro incontrino, la distruggono. A differenza delle colate laviche, che in genere viaggiano a bassa velocità ma a temperature alte, i flussi piroclastici sono un’enorme miscela di gas e ceneri incandescenti che formano immense nuvole che possono superare i 500 km/h e i 700 °C.

CENERE

Durante un’eruzione vulcanica, l’elemento principale è la cenere. In genere sono le esplosioni con lava acida a produrre i massimi danni. Nel caso di questo tipo di eruzione, tutta la zona attorno al vulcano è ricoperta dalle ricadute di cenere vulcanica. La ripartizione di questo materiale dipende, dall’intensità dell’eruzione e della direzione del vento, e la zona colpita può distare anche centinaia di migliaia di chilometri dall’epicentro dell’evento. Naturalmente lo spessore e la quantità di cenere varia in base alla distanza dell’eruzione al luogo su cui ricade la cenere. Se l’eruzione èmolto potente, queste particelle entrano in piena stratosfera, e i venti fortissimi, possono portare le ceneri in tutto il mondo, abbassando la temperatura del clima. Questo accadde nel 1991, quando eruttò il Pinatubo. Le ceneri possono anche formare tramonti spettacolari, come accadde nel 1883 quando eruttò il Krakatoa. Tramonti di color rosso porpora affascinarono la gente nelle eruzioni del Krakatoa, Pinatubo, St. Helens, El Chichon, Lakagigar o Laki.

La prima persona a correlare un’eruzione a questi effetti sul clima fu Benjamin Franklin, mentre cercava di spiegare il motivo di un inverno così rigido nel 1783 quando eruttò il Laki, in Islanda. In questo tipo di eruzione, una parte dei prodotti dell’esplosione ricade sui versanti del vulcano e nelle sue vicinanze mentre i frammenti più grossi restano nei pressi della bocca eruttiva, ma a volte possono essere scagliati a grandi distanze. Le colture, le abitazioni, le strade, seppellite da una coltre di cenere vulcanica, come si può vedere nella foto dell’eruzione del vulcano Puyehue in Cile iniziata il 4 aprile 2011. La nuvola di cenere del vulcano cileno è riuscita a fare il giro del mondo in qualche settimana, ed è riuscito a far chiudere gli spazi aerei in Argentina, Uruguay, Australia, Nuova Zelanda, mentre la nube (perfettamente visibile dallo spazio) si allargava sempre più creando molti disagi.

Il vulcano Eyjafjallajokull in Islanda, nel 2010 è riuscito a bloccare gli spazi aerei di mezza Europa (persino in Italiana), ma perché tutto questo? La risposta la troviamo andando indietro nel tempo, nel 1982 quando eruttòimprovvisamente il vulcano indonesiano Galunggung, e nella sua nube di cenere entrò, in piena notte un Boeing 747. I quattro motori si bloccarono, l’area nel velivolo divenne irrespirabile, con tutta la cenere entrata. L’aereo iniziò a precipitare verso il suolo, mentre il pilota cercò in tutti i modi di riaccendere motori, poiché sapeva che era in gioco la vita di 215 persone. A 1000 metri dal terreno, dopo aver perso quota per 7 km, il capitano è riuscito a spegnere del tutto e a riaccendere i motori e potendo atterrare all’aeroporto di Giacarta, salvando tutti i passeggeri a bordo.

Nelle terre intertropicali, la cenere grazie all’acqua e al calore, si trasforma velocemente in terreno coltivabile e anche in Sicilia.

Il disagio della cenere è dato da tutti o quasi tutti i vulcani del mondo, compreso il nostro Etna che proprio quest’anno ci ha dato prova di quanto sia anch’esso imprevidibile.

COLATE DI LAVA

La lava forma colate che si allungano sui fianchi del vulcano. Il termine trae origine dai dialetti napoletano e siciliano. Con “lava” si indicavano i torrenti di acqua mista a fango che scendevano dalle colline intorno ei centri abitati in seguito a violenti rovesci. Sia a Napoli che ad Aci Sant’Antonio sulle falde dell’Etna, vi sono frazioni chiamate “Lavinaio”. Con l’eruzione del Vesuvio nel 1737, il termine “lava di fuoco” fu utilizzato per descrivere le colate di lava vere e proprie. La composizione della lava è quella del magma originario privo dei gas che sono stati liberati nell’aria prima e durante l’eruzione. In base al contenuto dell’elemento più abbondante, la silice, i magmi che ne derivano sono detti acidi se contengono molta silice (al di sopra del 52%), e basici se ne contengono un quantitativo inferiore.

La maggior parte delle lave che si trovano sulla superficie del nostro pianeta deriva da magmi basici e sono chiamate basalti. Una delle caratteristiche fondamentali della lava è la sua viscosità, cioè la resistenza di un fluido allo scorrimento. Questa dipende dalla composizione chimica e dalla temperatura del fluido: una colata molto calda e poco viscosa, scorre velocemente, mentre, viceversa, una viscosa e poco calda, scorre lentamente e tende a sovrapporsi. Aumentando la distanza dal suo punto di origine diminuisce la temperatura del flusso e cresce così la viscosità della lava. Il punto più lontano dal centro eruttivo è chiamato fronte. I detriti laterali della colata formano gli argini del canale, mentre quelli che cadano davanti al fronte finiscono sotto la colata stessa che avanza. All’inizio di una fase effusiva nei pressi della bocca la lava ancora ricca di gas può formare delle colonne alte anche alcuni metri, percorso all’interno da un condotto di sfiato: queste colonne si chiamano “hornitos”(dallo spagnolo, piccole fornaci) e sono il risultato della spinta dei gas che si liberano nell’aria, modellando la stessa lava. Una colata di lava attraversa due fasi: una di sviluppo ed una di collasso. Durante la prima, la lava continua ad emergere dalla bocca aggiungendo materiale caldo al flusso precedente. Nella seconda invece l’emissione cessa, ma nel canale c’è ancora lava che scorre verso il fronte, più che altro per forza di gravità. Quando la colata si ferma del tutto e inizia a raffreddarsi, la lava tende a contrarsi e a spaccarsi. La velocità e lo scorrimento della colata lavica dipendono da alcuni fattori: portata del flusso, pendenza del territorio, temperatura e composizione chimica della lava, formazione di un tunnel nei quali la roccia fusa scorre senza raffreddarsi e viaggiando ad alte velocità. Le grandi colate laviche basaltiche sono quelle che avvengono sulle isole oceaniche, come le Hawaii, dove il Kilauea (il primo vulcano più attivo al mondo) che erutta ininterrottamente dal 1983 fa ingrandire l’isola a di ettari dalla grossa quantità di lava che emette.

PHOTO:  Giorgio Costa, hornitos in contrada Serracozzo, Etna, eruzione 1971

I vulcani continentali invece eruttano quantità inferiori di magma basaltici. Le lave basaltiche e di tipo intermedio sono chiamante con i termini hawaiani “a’a” e“pahoehoe”: le prime sono colate più spesse, con la superficie ricoperta da decine di detriti prodotti dall’autobrecciatura della crosta, ovvero quando la colata in raffreddamento si spacca; le seconde invece, sono molto fluide e hanno una superficie liscia o segnata da formazioni particolari.

L’Etna, che è il più grande vulcano basaltico continentale in attività sulla Terra, ha prodotto nel 1669 una colata di 1 km³ considerata la più voluminosa avvenuta su questo massiccio in epoca storica. Con una lunghezza di 40 km e un volume di 12,3 km³, la colata basica del vulcano Laki, in Islanda è quella storica piùvoluminosa che si conosca a memoria d’uomo.

PIROCLASTI

Sono detti “piroclasti” tutti i prodotti vulcanici emessi nel corso delle eruzioni esplosive. I piroclasti assumono nomi diversi a seconda della loro origine e delle loro dimensioni.
 

In base all’origine i piroclasti si suddividono in tre tipologie.

  • Iuvenili: quando derivano dal magma che provoca l’eruzione. Questi comprendono frammenti vetrosi e cristalli: il vetro è una sostanze che può derivare da qualsiasi fuso di silice quando il raffreddamento è rapido. Piroclasti vetrosi e bollosi sono le pomici, le scorie e le ceneri. Le pomici sono di colore chiaro, da bianco a grigio, ricco di bolle lasciate dai gas e quindi molto leggere. Le scorie sono di colore scuro, nero o rossiccio. Le ceneri vetrose sono minuscoli frammenti di pomici o scorie. Altri piroclasti iuvenili non presentano bolle come l’ossidiana.

  • Litici accidentali: sono frammenti di varia natura, anche non magmatica, provenienti dal condotto vulcanico.

  • Xenoliti: pezzetti di mantello terrestre trascinati in superficie dal magma.

 

I prodotti piroclastici sono classificati in base alla loro dimensione.

  • Dimensioni maggiori: bombe (emesse allo stato fluido), blocchi (emessi allo stato solido).

  • Dimensioni comprese tra 64 e 2 mm: lapilli.

  • Dimensioni inferiori ai 62 micron: cenere fine.

FLUSSI PIROCLASTICI

PHOTO:  Boris Behncke, xenolite

Sotto il termine di nubi ardenti, sono raggruppate i flussi piroclastici o i surge e altri tipi associati. Si tratta in effetti, di un miscuglio di gas caldi, ceneri e blocchi di dimensioni gigantesche, che viaggiano a grandi velocità e con temperature che a volte sfiorano i 1000°C. Nulla resiste a questi flussi letali, che potremmo definire come la parte più spettrale di un’eruzione vulcanica. Purtroppo non esiste alcun rimedio per evitare una colata piroclastica.

Tra gli esempi più drammatici, possiamo citare la notissima eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. che distrusse le città di Pompei ed Ercolano nell’arco di poche ore. Migliaia di persone rimasero carbonizzate. Poi abbiamo anche il Monte St. Helens, che il 18 maggio 1980 eruttò dopo secoli di quiete: il suo fianco collassò e da lì uscì un’infernale valanga che si riverso velocemente sulle foreste alle pendici di quella montagna perfetta quasi come il Monte Fuji, in Giappone. 57 persone rimasero uccise. Da citare è anche l’eruzione di El Chichon, in Messico del 1982; si ebbero più di 35.000 vittime solo per una nube ardente. Un altro altrettanto numero di persone, morirono a causa della pomice e della cenere che fece crollare i tetti delle abitazioni, e poi c’è anche l’eruzione del monte Unzen nel 1991, che generò una colata piroclastica dovuta al crollo improvviso di una parte instabile del cratere. Sul luogo c’erano i due noti coniugi vulcanologi, Mourice e Katia Kraft. La cosa più sorprendente e incredibile è che il giorno prima l’evento Mourice disse a un giornalista: “Ho visto tantissime eruzioni nella mia vita. Così tante che anche se morissi domani, non me ne importerebbe nulla”. L’indomani, il vulcano erutta uccidendo loro e altre quarantadue persone, che erano sul posto per monitorare il vulcano. Il resto della popolazione, intorno all’Unzen, fu evacuata e salvata. Sono principalmente i vulcani esplosivi detti “grigi” a generare queste micidiali valanghe infernali, come questi vulcani finora citati che mietono danni ingenti e vittime, ma ci sono vulcani (come lo stesso Etna) che li producono senza creare alcun disagio, anche se le dinamiche con le quali vengono generati sono differenti (ad es. lo scontro tra le alte temperature della lava con la neve, o il crollo di porzioni instabili dei centri eruttivi interessati).

LAHAR

Sono tra gli effetti collaterali piùdevastanti di un vulcano. Il termine indonesiano lahar indica il miscuglio fra acqua, cenere vulcanica mista a ghiaccio, blocchi di roccia (grandi a volte quanto una casa), che precipitano a valle durante o dopo un’eruzione avvenuta su un vulcano innevato (o avente un ghiacciaio), o con condizioni climatiche pessime (senza alcuna eruzione), favorevoli a trasportare la cenere, poi l’acqua delle piogge, i massi, e tutto quanto a una velocità di 70 km/h. Durante l’eruzione del 1991 del Pinatubo, un tifone creò un cocktail fatale, che formò un lahar di dimensioni paurose. Ma anche un vulcano avente nel cratere un lago, può essere un candidato perfetto per la formazione di un lahar, oltre al Pinatubo che è un asso in questo campo, nel 1919, un altro vulcano il Kelut sull’isola di Giava creò un lahar enorme. Una colata di fango bollente spinse la massa di detriti a distruggere ben cento villaggi in meno di un’ora. Furono contate 5000 vittime. Tra i casi noti di formazione di lahar ci sono anche quello del 1980 quando eruttò il Monte St. Helens, o ancora quando nel 1985 eruttò il Nevado del Ruiz (Colombia). L’eruzione non fu potente, ma la lava portò allo scioglimento del ghiacciaio sulla montagna. Un lahar si riversò per 50 km dal vulcano e distrusse in pochi instanti la città di Armero, uccidendo 25.000 persone. Ma il vero record di distanza percorso da queste colate, avvenne in Ecuador nel 1987 quando il Cotopaxi eruttò. Il fiume assassino percorse 250 km. In passato, il vulcano Rainier a 50 km dal St. Helens e a 100 da Seattle riversò così tanti lahar da formare una pianura immensa. E poi anche il Katla (Islanda), nell’eruzione del 1918, quando la fusione del ghiacciaio che lo ricopre produsse un gigantesco lahar che si riversò a valle e nel mare inquinandolo. Anche questi, sono stati in più casi prodotti nel corso dei parossismi dell’Etna tra il 2011 e il 2013 per lo scontro tra la lava e la neve, non provocando alcun danno a persone o cose. Ovviamente si parla di lahar che non hanno paragone con quelli elencati in precedenza.

COME SI CLASSIFICANO LE ERUZIONI

PHOTO:  National Geographic

Le eruzioni vulcaniche rappresentano senza dubbio fenomeni naturali fra i più spettacolari che il nostro pianeta ci possa offrire, ma anche fra i più paurosi e pericolosi per l’uomo. Ci sono eruzioni come quelle dell’Etna che affascinano la gente, ma altre che provocano veri e propri cataclismi, capaci di mettere nella atmosfera tonnellate di ceneri, tali da innescare un forte cambiamento al clima. Per l’eruzione del Pinatubo nel 1991ha fatto fuoriuscire così tanta cenere da far calare la temperatura del clima 0,4 °C; quella del Tambora nel 1815 ha generato il famoso”anno senza estate” negli USA, provocando un enorme disastro. Ma niente di questo è più disastroso di quello avvenuto 73.500 anni fa quando il Toba in Indonesia, eruttò. È stata forse l’eruzione più distruttiva mai avvenuta sul Pianeta negli ultimi migliaia di anni. l’esplosione fu così potente da ricoprire con le sue ceneri ricoprì il globo impedendo alla luce del sole di penetrare il pianeta, di riscaldarlo e illuminarlo. Si creò uno dei cosiddetti inverni vulcanici che in questo caso fu di proporzioni inimmaginabili. Un’era glaciale di 5.000 anni ha portato l’umanità sull’orlo dell’estinzione. Le eruzioni vulcaniche non avvengono solo in superficie, sulla Terra infatti ci sono molti vulcani sottomarini. Il più grande d’Europa è il Marsili, anche uno fra i più pericolosi, non tanto per la suo potenzialità eruttiva, ma per le sue pareti fragili, per cui uno sgretolamento potrebbe generare uno tsunami di altezze sufficienti da provocare ingenti danni a Napoli, Messina e Cagliari. Ma anche se eruttasse, porterebbe anche un bene, proprio perché l’energia che si potrebbe ricavare dal vulcano, riuscirebbe a soddisfare ben 700 mila persone, o una città come Palermo. 

Ogni vulcano è diverso; ha un proprio comportamento e tutte le eruzioni sono differenti. I principali tipi di eruzioni o meglio dire, di attività eruuttiva, sono sei: pliniana, peleana, surtseyana, stromboliana, vulcaniana e hawaiana. La quantità di materiale eruttato (gas, ceneri e rocce) fornisce una misura della potenzialità che ha un vulcano. Esiste un parametro apposito per calcolare l'intensità di un eruzione: l’Indice di Esplosività Vulcanica (V.E.I, dall’inglese Volcanic Explosivity Index) è una scala che classifica, da grado 1 a 9, l’entità o la potenza delle eruzioni, in base al materiale eruttato e all’altezza della nube di ceneri. Si basa su una scala logaritmica: l’incremento di una unità sulla scala rappresenta un incremento di dieci nell’energia dell’eruzione (ovvero dieci volte maggiore dal grado precedente). VEI 1 è un’eruzione "piccola" proprio come quelle del Kilauea nelle Hawaii, VEI 9 sarebbe un cataclisma totale, e fortunatamente questo tipo di eruzioni è raro: alcuni vulcani di grado 9 sono il Toba, che eruttando 74.500 anni fa ha portato l’umanità sull’orlo dell’estinzione, o lo Yellowstone. La scala VEI strutturata come quella Richter che definisce l’intensità dei terremoti attraverso la loro magnitudo, va da 0 a 9 ed è logaritmica, ovvero ogni intervallo rappresenta un incremento di fattore 10. Per esempio, un’eruzione vulcanica di VEI 4 è 10 volte più potente di una di VEI 3 e 100 volte di una di VEI 2. 

IL MESTIERE DEL VULCANOLOGO

Studiare i vulcani è un’avventura affascinante. Un vulcano attivo è una porta aperta verso il centro della Terra, sulle forze primordiali che hanno plasmato il pianeta e ne determinano l’evoluzione. I vulcanologi sono scienziati che li monitorano 24 su 24, studiandoli costantemente, per trarre notizie dal loro passato, e quindi cercando ipotizzare il futuro. Usano i metodi della geologia, della chimica, della mineralogia, della fisica e della sociologia, allo scopo di capire come e quando si sono formati questi mostri, quali possono essere gli intervalli e i tipi di eruzione e quale impatto potrebbero avere quest’ultime sulle persone e sul paesaggio. Una parte del lavoro, importante del vulcanologo si svolge sul campo, ovvero su un vulcano, dove si fanno diverse e numerose rilevazioni per determinare il comportamento eruttivo di un vulcano nel passato e nel presente, per poi pensare all’avvenire. Poi, si effettuano altre rilevazioni in laboratorio dai computer, e dai satelliti. I vulcanologi si avvalgono di strumenti specifici per lo studio di un vulcano sul campo. I vulcani attivi come l’Etna, o lo Stromboli sono luoghi di lavoro dinamici ed entusiasmanti, ma i vulcanologi devono prepararsi con lo scrupolo ed essere sempre consapevoli di correre un enorme rischio. E' impossibile prevedere il giorno esatto di un'eruzione: certamente prima di essa, si hanno numerosi e specifici segnali, come i terremoti, il rigonfiamento del terreno o l'aumento dell'attività fumarolica, che aiutano molto a prevedere se ci sarà o meno una prossima eventuale eruzione.

PHOTO:  Carsten Peter

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